sabato 13 giugno 2009

Stelle e strisce - 1 - Samuel Barber

Gli Stati Uniti d'America, occupati com'erano a dare alla luce molteplici forme d'espressione musicale quali jazz, country, gospel, rock and roll, rap e via discorrendo, hanno faticato più del dovuto a portare alla ribalta della scena internazionale autori ed esecutori attivi nel campo della musica classica e sinfonica. Sintomatico in tal senso lo stand-by di cui si sono rese protagoniste le istituzioni musicali del Nord America, che nell'affidarsi sin dagli esordi e fino agli anni '60 alle cure di grandi europei transfughi, hanno di fatto ritardato di decenni il processo di maturazione di una propria tradizione interpretativa e manageriale. Con questi presupposti, risultava certo problematica anche l'ascesa di astri nel firmamento compositivo. Unica radiosa eccezione risulta rappresentata dalla stella di George Gershwin, personaggio che oggi si definirebbe "trasversale" per la sua straordinaria capacità di coniugare il verbo della musica nera con quello della musica bianca di più antica tradizione; per l'esordio effettivo della musica seria americana occorrerà attendere l'avvento del protagonista degli odierni assaggi d'ascolto: Samuel Barber.

Nato nel 1910 in Pennsylvania, iniziò a comporre ancora bambino, perfezionando i propri studi a Roma grazie ad una borsa di studio. Sin dai precoci esordi e fino alla sua scomparsa (1981), Barber utilizzò uno stile compositivo relativamente tradizionale, lontano dallo sperimentalismo di alcuni compositori americani della sua generazione.
La sua fama risulta tuttora principalmente riconducibile all'Adagio per archi, accolto con grande favore sin dall'epoca della sua composizione (1938), ma portato al successo mondiale nel corso degli anni '80 grazie al cinema, che se ne appropriò, sottolineando con le sue note i momenti più toccanti dei film The Elephant Man di David Lynch e Platoon di Oliver Stone.

Esemplare del senso quasi lussureggiante della melodia in Barber è questo terzo tempo della Prima sinfonia (1936), che, succedendosi ai precedenti senza soluzione di continuità, porta la composizione al suo solenne epilogo. Lo ascoltiamo nell'interpretazione della Royal Scottish National Orchestra diretta da una donna americana, specchio dei tempi che (finalmente) cambiano: Marin Alsop.



Nella produzione orchestrale di Barber un posto preminente viene occupato dai tre "Essays", composti in diverse epoche (1937-42-78), ma aventi strutture piuttosto simili, in cui trovano posto momenti di intenso lirismo, così come fugaci sezioni di scherzo. Ascoltiamo l'Essay n. 2 (1942) in una registrazione dei ruggenti anni '70; la London Symphony Orchestra è diretta da David Measham.



Barber aveva solo 23 anni quando scrisse "Music for a scene from Shelley" (1933). Per commentarlo, mi ripeterei inutilmente. Meglio ascoltarlo, nella migliore esecuzione che io conosca: lo specialista Andrew Schenk a capo della New Zealand Symphony Orchestra.

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